Adattamento live action dell’anime del 1974, racconta della lotta per la sopravvivenza dell’umanità contro un malvagio invasore. Molto giapponese nella storia e nella recitazione, con un buon livello di CGI, è tutto sommato ammirevole considerando il budget risicato.
C’era una volta la Yamato
Nel 2199 l’umanità è al culmine della lotta per la sopravvivenza. Una specie aliena, chiamata Gamilas, sta cercando di conquistare la Terra da ormai 5 anni, ma la fiera opposizione dei suoi abitanti glielo sta impedendo. Anzi, proprio nel 2199 gli umani hanno organizzato una grande controffensiva per rompere l’assedio, ma purtroppo le cose non vanno come previsto.
Ad un certo punto rimangono operative solo due grandi vascelli, di cui uno, la Yakikaze, comandata Mamoru Kodai, è ormai spacciato. Kodai decide quindi di sacrificare se stesso, la nave e tutto l’equipaggio per fare da scudo all’altra nave, comandata da Juzo Okita, coprendone la ritirata.
Così all’umanità rimane quindi una sola speranza: ad un certo punto è arrivato un insperato aiuto da un altro pianeta alieno, Iskandar. Ci sono le indicazioni per costruire un potente cannone, un motore warp in grado di far viaggiare tra le stelle e le coordinate per raggiungere Iskandar e ricevere un miracoloso dispositivo antiradiazioni che consentirà di sanare la Terra. Sì perché a causa della guerra la Terra è diventata un deserto radioattivo e gli uomini sono costretti a vivere sottoterra.
Con la tecnologia Iskandar viene così potenziato l’ultimo vascello umano, la corazzata spaziale Yamato. E viene arruolato anche un nuovo equipaggio, per il quale si candida anche Susumu Kodai, fratello dell’altro Kodai, che però inizialmente critica Okita, capitano della Yamato, accusandolo di aver fatto sacrificare Mamoru per salvarsi la pelle. Sulla Yamato il buon Susumu trova anche un gruppo di vecchi amici tra cui l’abile pilota Yuki Mori e il guerriero Hajime Saito,
La Yamato si troverà così ad affrontare diversi scontri con i Gamilas che riuscirà a vincere grazie al potente cannone, riuscendo anche nel suo intento di giungere a Iskandar. Lì giunti si scopre che il pianeta è anche l’origine dei Gamilas e quindi che i due sono in realtà la stessa specie. Nel frattempo Okida, vecchio e molto malato, decide di affidare il comando a Susumu, vedendo in lui le doti di comando e il coraggio che erano anche del fratello.
Susumu decide comunque di andare a fondo alla questione sbarcando sul pianeta e raggiungere la posizione esatta trasmessa da Iskandar. Dopo un’aspra battaglia che richiederà il sacrificio di molti compagni di viaggio raggiunge Iskandar che gli spiega che il pianeta è morente e i Gamilas sono la fazione di maggioranza che ha deciso di conquistare la Terra per stabilirsi lì. Inoltre impianta in Yuki il dispositivo anti radiazioni.
Sulla via del ritorno il gruppo decide anche di distruggere il nucleo energetico dei Gamilas, dando quindi un ultimo grave colpo ai nemici, ma questo richiederà il sacrificio di Saito.
Alla fine sulla nave ci tornano solo Yumi e Susumu e con il resto dell’equipaggio fanno rotta verso la Terra. Qui trovano in agguato Deslok, imperatore dei Gamilas, che di fronte alla disfatta della sua gente ha deciso comunque di distruggere la Terra come atto finale di pura vendetta.
Susumu decide quindi di compiere il gesto estremo e di lanciare se stesso e la nave contro il nemico per salvare il pianeta. Pochi compagni fidati condivideranno questo destino con lui, mentre Yuki e gli altri torneranno sulla Terra per dare un nuovo inizio all’umanità.
Space Battleship Yamato, la space opera giapponese
Come detto il film è un adattamento all’anime del 1974 chiamato da noi Star Blazer. Il nocciolo della trama è sostanzialmente lo stesso e la vicenda è quella della prima serie, tralasciando, come sempre accade negli adattamenti cinematografici, alcuni particolari e modificando quanto basta i personaggi e le azioni.
Nella serie originale viene esplicitamente indicato che la Yamato è la stessa nave che ha combattuto nella seconda guerra mondiale, riadattata per viaggiare nello spazio. E in effetti i rimandi al dramma giapponese della seconda guerra mondiale non mancano, anche perché tipici di una buona fetta della produzione giapponese: le radiazioni, il nemico esterno, il sacrificio… Anche qui nel film, malgrado i 40 anni passati nel frattempo, riprendono le stesse tematiche che in un certo senso rimangono attuali.
L’aspetto che sorprende è la qualità della produzione malgrado il misero budget di soli 23 milioni di dollari spalmati su un film della durata di ben 137 minuti, in cui non è che si è lasciato molto tempo al puro dialogo. Il film è pieno zeppo di azione ed effetti speciali in CGI per la durata complessiva 65 minuti. Effetti speciali di qualità ragguardevole che riescono a centrale il difficile obiettivo di creare un legame con l’estetica della serie originale e allo stesso tempo di soddisfare l’occhio moderno abituato alle mega produzioni americane, che per una roba del genere avrebbero speso quasi dieci volte tanto.
Alla fine è tutto molto godibile con scenografie spaziali che sono molto colorate e uno spazio siderale che sembra sempre molto affollato. Ottimo lavoro.
Anche l’estetica della nave e del suo equipaggio finisce per essere molto realistico, con linee nette e molto marziali e una fotografia che rimarca l’ambientazione bellica e un po’ retrò.
Potrebbero sembrare un po’ fuori luogo le divise dell’equipaggio che sembrano delle tute da motociclista, ma in realtà si rifanno a quelle dell’anime e dopo un po’ vi sembreranno anche plausibili.
Ma cosa manca a questo film per essere considerato un gran bel film?
C’è il fatto che la necessità di condensare la trama ha reso necessario sacrificare alcune spiegazioni e vedendo il film sfugge un po’ quello che è successo prima. C’è una sequenza iniziale di Susumu che lotta per la sopravvivenza sulla superficie, ma la sequenza rimane un po’ slegata dal resto.
Certo non si poteva fare un film di tre ore e probabilmente non si era sicuri di poter fare un seguito, per cui il compromesso è inevitabile.
E poi lo stile di recitazione giapponese finisce per essere un po’ artificiale. I personaggi che urlando le loro intenzioni come dei dannati alla lunga fanno un po’ ridere. E il tentativo di dare solennità al capitano Okida ha come risultato il renderlo una specie di manichino immobile.
Peccati veniali che probabilmente gli amanti di manga e anime non noteranno neanche, però sono aspetti da considerare in una valutazione.
Ricercata anche la colonna sonora, con la curiosità che sui titoli di coda canta Steven Tyler degli Aerosmith, tanto da far pensare per un attimo di trovarsi nel seguito di Armageddon.
Space Battleship Yamato è quindi un film da vedere, magari pensando ai cartoni della nostra infanzia. L’azione non lascia respiro e l’eroicità dei personaggi vi terrà attaccati allo schermo, mentre gli effetti visivi renderà il tutto realistico. Ottimo lavoro!
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