È un punto di riferimento del western all’italiana: sporco, cinico e violento. Padre di innumerevoli seguiti, fu anche il film che aprì le porte del cinema a Franco Nero. Secco come un whisky senza ghiaccio è un film per tutti gli appassionati.
C’era una volta nel profondo west…
Verso la fine dell’ottocento, nel profondo sud degli Stati Uniti d’America, al confine con il Messico, una donna viene frustata da un gruppo di cinque messicani. Proprio in quel momento sopraggiunge un reduce nordista che trascina una cassa da morto, ma i messicani non lo notano. Arriva anche un gruppo di cinque yankee che portano un fazzoletto rosso come distintivo e che uccidono i messicani, ma anche loro hanno intenzione di uccidere la donna perché mezza messicana.
A questo punto il reduce interviene, uccide i yankee e salva la donna. Lei si chiama Maria. Lui Django.
I due vanno in città, ma è una città fantasma. L’unico edificio abitato è il saloon, ed è un posto di prostitute. Maria arriva da lì. Django affitta una camera e decide di cenare, ma arriva Jonathan, un predicatore razzista.
Jonathan incassa il pizzo dell’albergatore Nataniele e nota Django. Poi arriva anche il maggiore Jackson, il capo dei rossi, con altri quattro pistoleri.
L’attrito con Django è inevitabile e quando la situazione lo richiede il reduce reagisce con un gesto fulmineo e secca i quattro. Jackson invece lo risparmia. È tornato proprio per ucciderlo, perché il maggiore gli ha ucciso la moglie mentre era in guerra, ma promette di farlo solo dopo avergli sterminato tutta la banda.
Jackson ha così salva la vita, per il momento. E Django va a passare la notte con Maria, che è contenta di aver trovato qualcuno che la difende.
Il giorno dopo Jackson torna con altri quaranta, ma Django è lì ad aspettarlo con la sua cassa da morto, che poi non è altro che la custodia di una mitragliatrice, con cui uccide quasi tutti. Ovviamente Jackson si salva ancora.
Più tardi Nataniele e Django vanno al cimitero. Il primo per seppellire un po’ di cadaveri, il secondo per fare visita alla tomba della moglie.
Nel frattempo Jonathan, sopravvissuto anch’egli, torna al Saloon per riempire di prediche le prostitute. Uscito dal saloon incrocia però il gruppo di messicani del generale Hugo, acerrimo nemico di Jackson.
Hugo accusa Jonathan di essere una spia, gli taglia l’orecchio, glielo ficca in bocca e poi gli spara alle spalle.
Hugo e Django sono amici di vecchia data. In particolare Django ha salvato la vita di Hugo in passato e tra i due rinasce subito l’intesa. I due decidono quindi di assaltare il forte in cui Jackson custodisce il suo oro, che dovrebbe poi servire a finanziare la rivoluzione.
L’attacco ha successo, anche grazie alla mitragliatrice, ma Hugo impedisce a Django di andarsene con la sua parte di bottino. Quindi rimane nel gruppo in attesa nel momento buono che gli si presenta in occasione di una rissa per Maria in cui salva nuovamente Hugo. Allontanatosi senza destare sospetti si impossessa dell’oro, che mette nella sua bara, lasciando la mitragliatrice come trappola.
Presa Maria i due scappano verso il Messico su un carro, ma arrivati al ponte che segna il confine la bara casca nelle sabbie mobili. Django tenta un disperato recupero, finendo invischiato anche lui. Maria tenta a sua volta il salvataggio, ma viene gravemente ferita dagli uomini di Hugo che sono sopraggiunti. I messicani di Hugo salvano Django in nome dell’amicizia, ma gli fracassano le mani per pareggiare il conto del furto.
La storia non è finita perchè è ancora vivo Jackson, che riesce a sterminare gli uomini di Hugo in un’imboscata e uccide anche Nataniele, che eroicamente difende Maria, che è viva. Django a questo punto è comunque deciso a portare a termine la sua vendetta, che si compie al cimitero. Jackson interviene con un manipolo dei suoi, ma Django riesce comunque a sopraffarli con la pistola, malgrado le mani distrutte.
E se ne va così, lasciando le pistola sulla croce di Mercedes Zaro, la sua moglie morta.
Django, il cinismo a fiumi
Con Django Sergio Corbucci non ha certo inventato il western all’italiana, ma ha sicuramente aggiungo un livello a quello che era possibile fare con questo genere, aggiungendo elementi horror e anche un po’ di splatter. Il pubblico era già abituato al genere dai primi due episodi della triologia del dollari e da altri film che stavano rivitalizzando un genere cinematografico che in america aveva già esaurito la sua vena creativa, ma questo film fece parlare di sé per la violenza e fu ritenuto all’epoca uno dei film più violenti.
Con gli occhi dei nostri giorni la violenza non si può dire che non ci sia, ma l’effetto orrorifico è abbastanza limitato.
Il personaggio che va in giro con una cassa da morto è rimasto nell’immaginario, ma è facile chiedersi del perché Django faccia tutta questa fatica a trascinarlo. Ma nello spaghetti western a volte ci si dimentica dell’invenzione delle ruote, come sappiamo anche dal letto di Trinità.
Un po’ naïve anche la resa dei conti finale al cimitero. Per quanto possa turbare l’ambientazione cimiteriale risulta abbastanza inverosimile che Django, praticamente senza mani, riesca a colpire e ad uccidere con un solo colpo ciascuno tutti i suoi nemici.
È invece impressionante la scena del taglio dell’orecchio di Jonathan. Per quando dal punto di vista degli effetti speciali la scena sia abbastanza semplice, denota il sadismo dei personaggi di questa storia e fa venire un po’ di magone.
Detta così sembrerebbe che il film sia un po’ pasticciato, ma in realtà i personaggi sono talmente duri e crudi da rendere interessare tutta la vicenda. Forse manca un po’ il personaggio di Jackson, ma come antieroe Django è molto più tenebroso dell’Uomo-Senza-Nome messo in scena da Sergio Leone. Clint Eastwood è animato dal guadagno e tutto sommato ha il cuore più tenero di quello che vuole mostrare. Franco Nero invece è corroso dalla vendetta ed evita di legarsi troppo alle persone perché molti lo tradiscono. Per certi versi somiglia a John Wick.
Tutto questo per dire che è un gran bel film.
Oltre all’ottima interpretazione di Franco Nero va dato merito anche alla colonna sonora, con un tema memorabile e la giusta enfasi ai vari momenti del film.
E come non menzionare le scenografie. La città fantasma, decadente e piena di fango è lo specchio dell’anima di tutti i personaggi e contribuisce a dare quell’ulteriore tocco di devastazione interna.
Django è un mito. La quantità di citazioni nei film più o meno recenti, nonché il numero spropositato di seguiti apocrifi, ne certifica l’impatto nella storia degli spaghetti western. Non vederlo sarebbe grave.
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