In un futuro più o meno remoto c’è una città discarica abitata prevalentemente da cyborg. Ma l’ingegnoso Ido Dyson trova tra i rottami un corpo mutilato, che riporterà in vita.
Robert Rodriguez porta sul grande schermo il celebre fumetto, alla sua maniera, con un sacco di botti, ma con moderazione.
La dura vita dei cyborg
Nel 2563 il mondo è abbastanza uno schifo. E tra i posti più schifosi c’è la Città di Ferro, uno squallido agglomerato urbano posto al di sotto di Salem, la città volante, di cui ne rappresenta la discarica.
Da un certo punto di vista è una fortuna, perché sulla città cadono scarti di tutti i tipi, tra cui di preziosissime parti di ricambio per cyborg. Magari un po’ ammaccate, ma con un po’ di impegno si possono rimettere a posto e vendere al miglior offerente.
Tra i tanti rovistatori c’è anche Dyson Ido, che un bel giorno ritrova in mezzo alla monnezza il busto di un cyborg femminile. Portato nel suo laboratorio scopre che il cervello del cyborg è ancora vivo, anche se in stasi, e così utilizza un altro corpo per ridare vita alla ragazza.
Al suo risveglio questa dice di non ricordare nulla del suo passato, neppure il suo nome, e così Dyson decide di chiamarla Alita e di adottarla come una figlia.
Alita si invaghisce ben presto di Hugo, un ragazzo che rifornisce Ido di pezzi, e così scopre la città, il motorball che è lo sport locale e i braccatori, un gruppo di cacciatori di taglie, surrogato di un corpo di polizia che la città non possiede.
Dopo poco tempo Alita nota anche le strane abitudini di Ido, che spesso si allontana la notte. Dato che contemporaneamente una sequenza di omicidi sta mettendo in subbuglio il quartiere Alita teme che Ido possa essere il misterioso assassino e decide di pedinarlo. Scopre così che effettivamente Ido va a caccia la notte, ma interpreta male la situazione e si immischia mettendo Ido e se stessa in pericolo. Ma la situazione di pericolo, dovuta principalmente al mastodontico cyborg Grewishka, le riporta alla memoria sprazzi della sua vita passata e soprattutto le sue tecniche di lotta, chiamate Panzer Kunst, con le quali in qualche modo riesce ad uscire viva dalla situazione.
Alla fine risulta che Ido è originario di Salem e che per arrotondare fa il braccatore. Alita decide di seguire la stessa strada professionale, ma il rapporto con i colleghi, in particolare con Zapan, non è dei migliori.
Le vicende di Alita si intrecciano quindi con quelle di Hugo, ossessionato dall’idea di poter salire a Salem con l’aiuto del faccendiere Vector, con quelle di Ido che le donerà un corpo Berserker e il motorball.
Alita, il cinecomic alternativo
Il manga Alita nasce a inizi anni ’90 a opera di Kukito Kishiro, seguendo il filone cyborg tanto in voga in quegli anni (vedi tra gli altri Terminator e Ghost in the Shell), a cui l’autore ha continuando ad aggiungere parti del racconto nel corso degli anni per andare ad esplorare i vari aspetti della storia di Alita e del mondo che la circonda.
L’idea di portare al cinema le avventure di Alita venne a James Cameron a inizi anni 2000 con tanto di annuncio di sceneggiatura già scritta. Ma purtroppo il progetto seguì una strada lunga e tortuosa e avrebbe raggiunto l’obiettivo solo 20 anni dopo!
Ma forse è meglio così perché in questo modo il film ha potuto beneficiare della cinecomic-CGI dei nostri tempi, e quindi non ha dovuto porsi limiti in quanto a rappresentazione visiva, avendo come unico limite i soldi, che comunque non furono pochi visto che la Fox decise di mettere sul piatto circa 200 milioni di dollari, che non sono affatto male.
Cameron decise di affidare la regia a Robert Rodriguez, già passato alla storia per Spy Kids, che per certi versi somiglia a questo Alita.
Dal punto di vista visivo Alita lascia poco a desiderare. I personaggi principali sono molto caratterizzati e curati. In particolare Zapan risulta essere una vera calamita per gli occhi. Il corpo cyborg molto naked e lo pseudo tatuaggio sulla schiena lo rendono sicuramente il più riconoscibile.
Viceversa Alita, con quei grandi occhioni teneri, trasmette quell’ambiguità tra la sua natura femminile, che si lascia scioccamente infatuare dal poco di buono Hugo, e quella di guerriera, con l’espressione risoluta di chi è nato per combattere. L’unico inconveniente di questa scelta è che uno continua a chiedersi del perché Alita debba avere degli occhi così grossi, salvo poi scoprire che il perché non c’è.
Un pochino sottotono invece Christopher Waltz, probabilmente troppo ingabbiato in un personaggio che non gli permette di esprimersi più di tanto. Andare in giro con un enorme martellone a reazione non è facile per nessuno.
In generale la storia raccontata nel film ha la stessa velocità di un giro di montagne russe. Una volta finito il riscaldamento delle scene iniziali si passa a una sequenza di situazioni senza soluzione di continuità, tanto che ad un certo punto si può finire per essere un po’ spaesati. Il film soffre anche leggermente la sindrome di JJ Abrams, spargendo una serie di indizi ed allusioni che poi rimangono sospese.
E arrivare alla fine con un mezzo cliffhanger non aiuta a dare un senso di conclusione alla fine della visione del film.
In effetti lo stesso manga soffre non poco dello stesso difetto. Per fare un esempio basta parlare di Salem. Che diavolo è Salem e perché tutti vogliono andarci? Non si sa. Gli stessi personaggi non lo sanno. Hugo è l’emblema di questa ignoranza. Ci vuole andare a tutti i costi perché è un posto meraviglioso. Ma chi l’ha detto? Boh.
Il rapporto col manga è in generale abbastanza leggero. L’inevitabile semplificazione di alcune sottotrame non toglie molto al racconto ed è tutto sommato accettabile. Il film riprende gli elementi fondamentali della prima parte del racconto manga, li mischia un pochino, modifica qualcosina, ma alla fine i personaggi continuano ad essere gli stessi. Lo stesso autore Kukito Kishiro si è detto molto contento del risultato.
A mio parere la conversione manga-live action ha però subito un’importantissima involuzione. Il fatto è che il manga è decisamente crudo. Non si contano gli sbudellamenti, le decapitazioni e mutilazioni varie. La psicologia dei personaggi non è molto diversa, ma in generale il clima è molto più truculento. Per dire, il primo avversario che Alita si trova ad affrontare nel film è Grewishka, un enorme cyborg un po’ tonto, anche se molto forte. Direi che in qualche modo prende il ruolo di Makaku. Beh… Makaku è un cyborg che si nutre di cervelli appena tolti dal cranio, che apre in stile lattina. Non c’è proprio confronto…
Peccato. Capisco che la produzione abbia evitato certi estremismi per non compromettere gli incassi da parte dei ragazzini, ma coi compromessi è difficile realizzare dei capolavori. E dire che una delle fonti di ispirazione di Kukito Kishiro è stato Sin City di Frank Miller, portato sul grande schermo proprio da Robert Rodriguez.
Alita rimane comunque un bel cinecomic, colorato, visivamente gratificante, con una trama velocissima che sparge forse troppi indizi lasciando un po’ troppo un senso di incompiuto. Un bel film appunto, divertente e onesto, ma che non riesce a lasciare veramente il segno.
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